Il Presepe di Greccio
Greccio, Natale del 1223. In questo sperduto paesino, abitato da gente povera e affamata, a Francesco viene in mente di rappresentare la nascita di Gesù. Convoca il paese e organizza un “presepe vivente”, portando anche un bue e un asinello. Tutto il quadro denota povertà e semplicità.
Il suo non fu un gesto estetico, ma il ritorno alla rivelazione del grande annuncio cristiano.
Da allora in poi, sarà più facile per tutti sintonizzarsi con l’umanità di Dio.
Francesco ha saputo entrare nel mistero dell’incarnazione. Ha visto che Dio ha scelto la via della spogliazione, della nudità, e non dell’onnipotenza, per manifestarsi e rendersi prossimo alla nostra umanità. E in questo modo ha sorpreso e capovolto ogni nostra attesa nei suoi riguardi. Chi avrebbe mai pensato che l’evento inaudito dell’incarnazione potesse darsi in quel modo così normale, come accade per la nascita di qualsiasi bambino? Il Figlio di Dio si incarna e nulla accade, il mondo non se ne accorge e tutto sembra procedere come prima.
Con lucidità spirituale, Francesco coglie “il segno” in quella nascita, intuisce quanto fosse incisivo. Avvia una svolta spirituale e teologica semplicissima ma geniale. Non abbiamo bisogno di andare a Betlemme per scoprire quanto il nostro Dio sia “umano”, vicino alla nostra vita concreta.
L’incarnazione è un mistero grande, che ci supera sempre. Chi poteva immaginare che Dio avrebbe assunto la condizione sociale del povero? Nessuno poteva prevedere che sarebbe stato un povero a salvare il mondo! Francesco intuisce che la nostra tendenza alla ricerca di potenza e successo, così spesso alienante e ingannevole, può guarire, per trasformarsi in solidarietà, dono di sé per gli altri, senza pretese. Da Greccio, Francesco dice che siamo chiamati tutti a essere dei “minori”, sempre aperti ad amare il mondo.
Mons. Domenico Pompili – Vescovo di Rieti