Archeologia



Archeologia

Villa D’Assio

L’Ager Reatinus, cioè il territorio pertinente alla città romana di Reate, si caratterizza in età romana per la presenza di una molteplicità di piccole fattorie affiancate a poche grandi isolate ville patrizie con finalità per lo più produttive nel campo dell’agricoltura e dell’allevamento, ma spesso affiancate anche da una parte residenziale dal carattere signorile, e piccoli insediamenti (vici) sparsi nel territorio. Le fonti letterarie antiche attestano l’esistenza delle ville di alcuni personaggi di rilievo della storia e della letteratura romana. In particolare si ricordano le due ville di proprietà del senatore Q. Assio e la villa dei Flavi nei pressi di Cotilia.

La conquista romana del 290 a.C. ebbe un ruolo determinante in quest’area, quando si provvide alla bonifica della piana reatina occupata, nell’area settentrionale più depressa, da un’esteso bacino lacustre: il Lacus Velinus. La bonifica si risolse con l’apertura del canale curiano presso il pianoro delle Marmore regimentando le acque del fiume Velino nel sottostante fiume Nera attraverso il salto delle Marmore, complementare fu l’articolazione di un imponente sistema di drenaggio a sud, nella conca di Rieti, per rendere la piana sfruttabile ai fini insediativi ma soprattutto agricoli. Questo indubbiamente fu l’intervento più significativo per l’assetto territoriale e quello che ebbe il maggior impatto ambientale. Il Lacus Velinus fu ripartito in specchi di acqua di minore grandezza e la maggior parte delle sue acque confluirono quindi nel fiume Nera. Di certo la bonifica rese possibile l’utilizzo agricolo della conca precedentemente occupata dal lago, gravissime però furono le conseguenze dell’apertura della Cava Curiana per le aree a valle della cascata. Il rapido riversarsi delle acque del Velino nel Nera causava improvvise e gravi inondazioni e questo provocò forti controversie tra Ternani e Reatini che, accusati dagli abitanti di Interamna Nahars (Terni) perché appunto dopo il canale delle Marmore le acque del Velino causavano continue alluvioni con danni economici notevolissimi, furono difesi addirittura nel 54 a.C. da Cicerone, che si recò, ospite di Q. Assio, in quei luoghi, per esaminare a fondo la questione.

In questo ampio spazio di terre ora coltivabili e sfruttabili in varia maniera, si inseriscono le fattorie e alcune ville di proprietà di famiglie illustri. Forse le rovine nel comune di Colli sul Velino, in località Grotte di S. Nicola, potrebbero essere appartenute ad una delle due ville che il senatore Q. Assio possedeva secondo le fonti letterarie latine nell’agro reatino, tuttavia questa attribuzione è da ritenersi ipotetica in quanto a tutt’oggi non sono stati rinvenuti elementi che possano confermarla.

Attualmente è visibile solo in parte il muro di sostruzione (contenimento), i cui resti più imponenti misurano circa 8 m di altezza. e il criptoportico (corridoio di servizio sotterraneo) che corre alle sue spalle. La fronte del muro di sostruzione è scandita da pilastri e blocchi squadrati alternati a nicchie. All’inizio del Novecento, a seguito di lavori agricoli, si sono rinvenute altre tracce del complesso abitativo, sono stati recuperati mattoni in grandi quantità, rocchi di colonna, alcune fistule plumbee (condutture per l’acqua in piombo) iscritte, monete di varie epoche ed una cisterna. Più recenti lavori di restauro e consolidamento delle strutture, hanno portato ad un parziale scavo del monumento.

La basis villae (l’area spianata, contenuta dal sottostante muraglione a “nicchioni”, su cui poggiava la villa vera e propria) occupa l’area di una terrazza naturale regolarizzata e resa monumentale dalla costruzione di cinque poderose fronti (“nicchioni”) che delimitano uno spazio ad L. Il primo impianto è databile tra il II ed il I sec. a.C. e si presenta di fattura abbastanza regolare ed accurata. Il criptoportico, caratterizzato da una muratura molto più irregolare, doveva svilupparsi con più bracci correndo lungo tutto il perimetro della villa. Tra i non molti materiali rinvenuti relativi a questa prima fase del complesso abitativo, si possono ricordare diversi frammenti di ceramica domestica da mensa ed una fibula (spilla) in bronzo di una tipologia molto in voga nel I a.C. Sebbene la planimetria del complesso non sia allo stato attuale degli studi ben leggibile, perché la villa è stata solo in parte scavata, è possibile però distinguere nelle murature alcune fasi successive a quella più anticar, databili genericamente all’età imperiale e rintracciabili nei molti laterizi in giacitura secondaria e nei paramenti di alcuni muri. La tamponatura di diverse porte e finestre indica il parziale recupero di alcune costruzioni.

Sullo scorcio del IV-V sec. d.C. si può registrare una contrazione dell’area occupata con il conseguente interro di alcune strutture.

Ancora oggi perfettamente conservata, rimane la cisterna ipogea (sotterranea), un ambiente voltato ripartito in tre navate ciascuna divisa da quattro pilastri. Per la tecnica costruttiva è possibile immaginare la sua presenza sin dalle fasi più antiche del complesso. In questa stessa tecnica muraria infatti sembrano costruite tutte le strutture del primo impianto.

 

 

Dott. Archeologo Carlo Virili

Sapienza Università di Roma, Dipartimento di Scienze dell’Antichità
















Museo Archeologico di Rieti

La Sezione Archeologica del Museo Civico di Rieti

 

La sezione archeologica del Museo Civico di Rieti è ubicata al piano terra dell’ex monastero di Santa Lucia. L’edificio, il cui nucleo risale al XIII secolo, occupa l’isolato ai piedi del rilievo su cui correva l’antica cinta muraria romana e si trova nel centro sotorico della città. Il museo è articolato in diverse aree: una zona è dedicata alla Collezione Civica (sale 1-6), materiali speso decontestualizzati e raccoltisi nel tempo; l’Ala dei Sabini (sale 8-13) propone materiali archeologici di proprietà statale provenienti dagli scavi promossi nel territorio dalla ex Soprintendnza per i Beni Archeologici del Lazio. Un’ampia sala (n. 7), a cerneira tra le due ali, è destinata a mostre contemporanenee, proiezioni ed attività didattiche. Il chiostro interno è in parte destinanto all’allestimento di materiale epigrafico. Negli spazi all’aperto si organizzano concerti e manifestazioni a carattere culturale. Presso l’ingresso è ubicato anche il bookshop del Museo. Tutti gli spazi sono adeguati ed accessibili, dotati di  di rampe laddove necessario.

 

Il percoso di visita

 

Sala 1: la vita la morte, la religione.

Alcuni oggeti di uso quotidiano, provenienti per lo più da collezioni private e materiali archeologici di diverso genere (ritratti, statue, frammenti di rilievi, iscrizioni, etc.) rinvenuti casualmente nella città e nel territorio, testimoniano la vitalità della zona in epoca romana. Notevole interesse suscitano i reperti ascrivibili ad edifici pubblici dell’antica Reate, come la testa di Menade (II sec. d. C.), parte di una statua con funzione di sostegno architetonico (cariatide), venuti alla luce in occasione degli scavi eseguiti durante i primi anni del ‘900 in loc. Ortaccio, alle spalle del Palazzo Comunale, presso l’antico foro (odierna Piazza Vittorio Emanuele II).

 

Sala 2: la biblioteca di pietra.

Costituisce il nucleo portante della Collezione Civica, iniziatesi a costituire durante il Rinascimento per ordine dello Stato Pontificio. Molte epigrafi si riferiscono alla sfera funeraria, anche se non mancano iscrizioni votive relative ai culti romani attestati nella città e iscrizioni onorarie testimoni della storia reatina antica.  In particolare un testo frammentario (27-16 a.C.) ricorda come patrono della prefettura  reatina, Agrippa, il famoso condottiero, genero e consigliere dell’imperatore Augusto nonché patrono dell’edificazione del Pantheon a Roma. Da segnalare come fonte di informzione sull’assetto del territorio in epoca romana, l’iscrizione funeraria di C. Iulius Longinus (fine I sec. a C., dopo il 79 d.C.), un veterano di guerra di origine macedone che dopo essersi concedato gli furono assegnate delle terre a Reate da parte dell’imperatore Vespasiano.

 

Sala 3: la città romana.

Capitelli, architravi, cornici decorate e lastre di rivestimento aiutano da immaginare gli edifici pubblici di Reate in età romana.

 

Sala 4: “Sala Pierluigi Paolucci”.

La sala ospita uno dei reperti più pregevoli della Collezione Civica: un frammento di rilievo con una scena di venatio (spettacolo di caccia) in cui alcuni gladiatori affrontano una pantera, un leone e un orso. Il rilievo rinvenuto nel 1863 presso il XXXV miglio della via Salaria nell’antico territorio del municipio romano di Trebula Mutuesca (Monteleone Sabino). Il reperto (inizi I sec. d.C.) di elevata fattura artistica, faceva parte di un monumento funerario posto lungo la via Salaria in loc. Ponte Buita (Monteleone Sabino) ed era stato eretto per commemorare un personaggio illustre che probabilmente era consueto offrire a proprie spese, alla popolazione di Trebula, dei giochi gladitori da eseguirsi presso l’anfiteatro del municipio.

 

 

Sala 5: statuaria e collezione numismatica.

Molti dei repeti provengono da lasciti privati come la preziosa raccolta numismatica,  in parte donata dallo studioso locale Francesco Palmegiani (Rieti 1892-1955). La collezione presenta una notevole varietà tipologica (dai primi assi romani, ai sesterzi, denari, aurei, etc.). Di notevole pregio, date le origini sabine dell’imperatore, è l’aureo di Vespasiano, coniato dalla zecca i Roma tra il 77 e il 78 d. C. rinvenuto nel territorio di Morro Reatino.

 

Sala 6: Rieti e l’età medioevale

La sala e dedicata all’esposizione di alcuni reperti archeologici di età medioevale, come capitelli, frammenti di colonnine e cornici. Di notevole fattura è una lastra di marmo, di produzione locale, decorata a rilievo con scena di pavone che becca un grappolo d’uva. Il rilievo (VIII-IX sec. d. C.), proveniente da un luogo di culto cristiano della città, faceva probabilmente parte di un paravento (pluteo) che divideva l’altare dal resto della basilica. Al centro della sala è posto un plastico, con la ricostruzione topografica e geomorfologica della città di Rieti, che illustra i cambiamenti urbanistici e la sovrapposizione dell’abitato medioevale a quello di età romana.

 

Didascalie foto:

Fig. 1. Pianta della Sezione Archeologica del Museo Civico di Rieti (Monastaro di Santa Lucia)

Fig. 2.  Testa in marmo di menade con funzione di sostegno architettonico (II sec. d. C. Rieti loc. Ortaccio). Da Museo Civico di Rieti

Fig. 3. Epigrafe onoraria su lastra in carcale con dedica a M. Vipsanio Agrippa (fine I sec. a. C. Rieti, ex Chiesa di San Giovanni in Statua). Da Reggiani 1990.

Fig. 4. Rilievo su calcare con scena di spettacolo di caccia (inizi I sec. d. C., Monteleone Sabino, loc. Ponte Buita). Da Museo Civico di Rieti.

Fig. 5.  Aureo di Vespasiano (77-78 d. C. Morro Reatino, loc. Canali). Da Museo Civico di Rieti.

Fig. 6. Frammento di pluteo con altorilievo su marmo con scena di pavone che becca un grappolo d’uva (VIII-IX sec. d.C. forse da Rieti). Da Museo Civico di Rieti.

 

Bibliografia:

Museo Civico di Rieti. Sezione Archeologica s.d.: Museo Civico di Rieti. Sezione Archeologica, testi di M. De Simone e Daniela Camardella, Rieti.

 

 

II Parte:

Sala 8: la protostoria nella conca velina

La storia della conca velina corre lungo i percorsi delle sue acque. L’elemento “umido” ha svolto un ruolo centrale nel segnare l’identità del paesaggio e nel condizionare gli assetti territoriali, le scelte insediative, le articolazioni socio-economiche, i modellio culturali.

In un contesto ambientale di tipo fluvio-lacustre, caratterizzato da una pluralità di specchi d’acqua, un po’più profondi ed estesi di quelli attuali, si struttura gradualmente, a partire dalla fase recente dell’antica età del bronzo (XIX sec. a. C.), il primo grande evento insediativo, archeologicamente registrabile, nella storia della piana di Rieti e del bacino di Piediluco: un sistema territoriale organizzato in abitati di tipo perilacustre. Gli insediamenti sono di piccole dimensioni, vicini tra loro e dalla lunga continuità di frequentazione; la loro susssitenza era garantita dall’abbondante disponibilità d’acqua e la loro economia era basata principalmente sull’agricoltura, ma anche sull’allevamento, sulla pesca e, marginalmente sulla caccia. Si tratta di un modello di occupazione del territorio che, adattandosi ad un diverso ambiente, diverge dal quello coevo della fascia costiera del Lazio in cui si predilige l’arrocamento sulle alture tufacee. Quest’imporatente tessuto insediativo ha il suo massimo sviluppo demografico, socio-ecoomico e culturale tra la fase finale dell’età del bronzo (XII-X sec. a. C.) e la fase in iniziale della prima età del ferro (IX sec. a. C.), quando sembra svilupparsi anche una produzione metallurgica locale. Il sistema insediativo velino entra in crisi a partire d dallo scorcio del IX sec. a. C., quando comincia un graduale ma sistematico spopolamento del territorio il cui abbandono si compie durante l’VIII sec. a. C.. Probabilmente le cause che provocarono il collasso del sisitema furono molteplici: naturali (sconvolgimenti climatici che causarono un innalzamento progressivo della linea di riva dei vari specchi d’acqua che inondarono i campo coltivati), soccio.economici (accese competizioni tra i vari villaggi).

A partire dal 2011 il Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza Università di Roma conduce indagini territoriali nella piana di Rieti e nel bacino di Piediluco rivelando l’eccezionale potenziale cuturale di questi insediamenti rivieraschi. I principali siti protostorici si addensano intorno ai bacini del lago Lungo (es. loc. Casa Fonte Giovannone nel territorio di Poggio Bustone; loc. Campo di Santa Susanna nel territorio di Rivodutri) e del lago di Piediluco (es. loc. Paduli di Monte Cornello nel territorio di Colli sul Velino; loc. La Bandita nel territorio di Labro).

Nella sala sono esposti i reperti archeologici di alcuni siti rotostorici affiancati da un plastico che ricostruisce l’orografia e l’idrografia  della conca reatina in  rapporto con la presenza antropica.

Da segnalare l’alare fittile ornitomorfo da Campo di Santa Susanna  (Rivodutri, XIII sec. a. C.) Il frammento, unico per dimensioni nel suo genere, è attribuito alle parte terminale di un alare in terracotta refrattaria e viene interpretato come la testa, stilizzata, di un uccello acquatico, immagine ricorrente che si ritrova nelle coeve sopraelevazioni di anse di vasi dallo stesso sito e in generale costituisce un tema iconografico, un immagine simbolica molto difusa nella protostoria italiana ed europea.

 

Sala 11: le necropoli

Il percorso nella protostria prosegue nella sala 11 dove sono esposti i materiali di corredo dell’area funeraria di Campo Reatino scoperta nel 1929 dallo studioso locale Giacomo Caprioli e dove dal 2011 il Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza Università di Roma conduce scavi archeologici. L’area funeraria, dalla lunghissima continuità d’uso, anche in età romana, pur tuttavia con alcune interruzioni temporali, è caratterizzata nel primo periodo di utilizzo da un ristretto sepolcreto di tombe ad incinerazione risalenti agli inizi del IX sec. a. C. le cui urne ed il corredo associato erano deposte, in casi eccezionali, in un contenitore di pietra provvisto di coperchio a mò di sarcofago. Di particolare rilevanza è un’urna a forma di capanna che custodiva i resti combusti del defunto. L’urna trova stringenti confronti con l’area laziale, in particolare nei Colli Albani, nell’antico territorio dei Latini, dove tale pratica rituale era particolarmente affermata e diffusa.

Con un salto temporale di oltre 250 anni la sala espone, in un’altra vetrina, una ricca tomba di “età sabina”.  I Sabini, famosi dalle fonti letterarie per avere partecipato, di fatto, allo sviluppo della Roma  di Romolo e per aver dato alla città i primi re (Tito Tazio, Numa Pompilio, Anco Marzio), per gli antichi rappresentavano anche la stirpe dalla quale sarrebbero poi discesi i vari popoli italici dell’appennino centro-meridionale come i Picenti ed i Sanniti. La provincia di Rieti corrisponde solamente in parte all’antico territorio occupato dai Sabini. La Sabina, i cui confini amministrativi saranno poi definiti in età romana, comprendeva parte delle odierne provincie dell’Aquila (l’alta valle del fiume Aterno, culla della stirpe sabina) e di Perugia (Norcia) ma non comprendeva la valle del Salto, il Cicolano era abitato dall’antico e coevo popolo degli Equi.

I corsi del Nera, del Tevere e dell’Aniene, costituivano i limiti naturali del territorio sabino che con il passare del tempo fu occupato capillarmente da una serie di piccoli abitati sparsi posti soprattutto a controllo dei percorsi legati all’economia armentizia: un’organizzazione del territorio divergente dal modello urbano predominante nell’area tirrenica (etrusca e latina) in cui la popolazione è concentrta in pochi grandi centri.

Le testimoniaze archeologiche, lacunose per gli abitati più ricche e dettagliate per le necopoli, si addensano nell’area della sabina tiberina, quasi in prossimità del confine, segnato dal Tevere, con Etruschi e Sabini (necropoli di Magliano Sabina, loc. Colle del Giglio; necropoli di Collevecchio, loc. Poggio Sommavilla e necropoli di Montelibretti, loc. Colle del Forno). I dati delle necropoli tiberine suggeriscono una notevole fioritura culturale a partire dalla metà del VII sec. a. C. certamente incentivata dai frequenti contatti con le popolazioni limitrofe (etruschi falisci e latini) mediante il corso del Tevere e della futura via del sale (via Salaria). Le tombe a camera presentano ricchi corredi con raffinati materiali d’importazione ed imitazione etrusca (soprattutto il vasellame in bronzo dall’area orvietana e vulcente) ma anche greca mediata dagli stessi etruschi. Con lo stesse modalità e per le stesse vie penetrò in quelle aree l’alfabeto greco, riadattato nella scrittura, per la linga dei Sabini.

Da segnalare il ricco corredo esposto della tomba aristocratica proveniente da Collevecchio (loc. Collina dei Gelsi) in particolare, di eccezionale fattura etrusca, sono dei calzari in bronzo.    

 

Sala 12: le necropoli.

Sono esposti i materiali di due importanti tombe a camera (nn. 32 e 48) rinvenute nella sabina tiberina (Collevecchio, loc. Poggio Sommavilla). Le tombe databili al VI sec.a C. sono state poi reimpiegate tra il IV e il II sec. a. C. I corredi testimoniano gli importanti scambi commerciali e i contatti culturali, sia diretti che mediati, dei Sabini con i popoli limitrofi (Etruschi, Falisci e Latini) e con le contemporanee civiltà  del mediterraneo (Greci e Fenici).

Da segnalare in entrambe le tombe la presenza di uno dei vasi più caratteristici della cultura sabina: le c. d. “anforette sabine”. Questi vasi (VI sec. a C.) dal colore nero o grigio imitano la ceramica di bucchero caratteristica dell’area etrusca ma la forma del vaso è assolutamente locale. La decorazione posta tra le anse imita tecnologicamente i c.d. buccheri a cilindretto dell’area etrusca (orvietana e chiusina) o la tecnica a punzone dell’area falisca ma i motivi decorativi (rosette) sono espressione di scelte ornamentali autonome, i cavalli del gusto locale. Una coppa (kylix) di produzione greca (in particolare attica) a figure rosse con rappresentazione di un satiro (circa 460 a. C.) proveniente dalla tomba n. 48 sottolinea i rapporti culturali, forse mediati dagli etruschi, con l’area greca.

Didascalie

Fig. 1: Rappresentazione dei laghi velini in età protostorica. Ipunti rossi indicano gli abitati perilacustri. Da Virili 2011.

Fig. 2: Terminazione a testa di uccello acquatico stilizzato di alre in terracotta refrattaria (XIII sec. a C., loc. Campo di Santa Susanna, Rivodutri, RI).

Fig. 3: Pannelli didattici sul sito protostorico di Campo di Santa Susanna posti nel 2016 dal Comune di Rivodutri lungo la S.S. 79 in prossimità del km. 38.

Fig. 4: Urna a capanna (inizi IX sec. a. C., tomba 2, loc. Campo Reatino, Rieti).

Fig. 5: Cartografia storica dell’Italia centrale con indicazione delle ripartizioni regionali di età romana ed i popoli italici afferenti.

Fig. 6: coppia di calzari in bronzo di fabbrica etrusca (VI sec. a. C., tomba di loc. Collina dei Gelsi, Collevecchio, RI).

Fig. 7: anforetta sabina (VI sec. a. C., tomba 32, loc. Poggio Sommavilla, Collevecchio, RI). Da  Sabini Popolo d’Italia 2009.

Fig. 7: Coppa a figure rosse di fabbrica greca (460 a. C. circa; tomba 48, loc. Poggio Sommavilla, Collevcchio, RI). Da Sabini Popolo d’Italia 2009.

Bibliografia:

Virili 2011: C. Virili, Brevi precisazioni storico-topografiche sul sito perilacustre di Campo di Santa Susanna (Rivodutri, Rieti), in Lazio e Sabina 8, Roma.

Sabini Popolo d’Italia 2009: A. Nicosia e M.C. Bettini (a cura di), I Sabini Popolo d’Italia. Dalla storia al mito, Catalogo della Mostra (Roma, Complesso del Vittoriano, Salone Centrale, 20 marzo-26 aprile), Roma.

 

III parte

Sala 9: le ville nel territorio sabino

Nel 290 a. C., l’intervento militare di Manio Curio Dentato trasformò l’intero territorio sabino in territorio della repubblica romana (ager publicus) e si avviò quel processo graduale, già da qualche tempo in essere, di romanizzazione dell’area, da ora, di fatto, sancito anche militarmente, politicamente e amministrativamente e non solo più culturalmente. I preesistenti centri sabini vennero organizzati dal punto di vista politico-amministrativo, ad esempio Reate diventò una praefectura romana e poi in seguito come per altri centri assunse il ruolo di municipio. Il municipio di Forum Novum, nella sabina tiberina (loc. Vecovìo, Torri in Sabina) fu invece creato a tavolino forse su un preesistente luogo di mercato di età sabina. Anche il territorio agricolo circostante i centri romani fu organizzato secondo il sistema romano della centuriazione (divisione del terreno in quadrati di circa che costituiva il fondo per 100 famiglie (centuria), fra le quali i lotti venivano distribuiti a sorte). Questa divisione del territorio era fondata sul tracciato di vie parallele e perpendicolari dette decumani cardines. decumani erano disposti di solito lungo l’asse più sviluppato del territorio, o erano paralleli ad una grande via di comunicazione. Decumani cardines erano detti limites (donde limitatio, sinonimo di centuriazione). Decumanus maximus cardo maximus erano chiamati gli assi principali, strade di larghezza maggiore, che si incrociavano in un punto che era il centro ideale della centuriazione. Queste linee venivano tracciate con l’aiuto di uno speciale strumento, la groma.  Al fine di migliorare lo sfruttamento delle terre destinate ai nuovi coloni inviati da Roma, si realizzarono infrastrutture viarie ed idrauliche di notevole impegno tra cui la bonifica della piana di Rieti anche tramite lo scavo della Cava Curiana, il canale che convogliava le acque del Velino per raggiungere la Cascata delle Marmore. Dopo la bonifica il territorio di Rieti (l’ager reatinus) fu organizzato per centurie, diverse epigrafi testimoniano l’assegnazione di lotti di terreno ai veterani dell’esercito romano che avevano combattuto sotto l’imperatore di origine sabina Vespasiano. Il territorio fu punteggiato da molte fattorie e ville già a partire dal II sec.a. C., in una tipologia di insediamento sparso  che ancora oggi caratterizza queste zone. In alcune di queste la parte residenziale fu particolarmente sviluppata e lussuosa. Nella sala sono esposti alcuni reperti dalla villa di Cottanello e dalla villa dei Bruttii Praesentes (loc. Madonna dei Colori, Ponticelli, Scandriglia) appartenente all’antico territorio del municipio di Trebula Mutuesca (Monteleone Sabino). La villa di Cottanello, apparteneva, come testimoniato dal ritrovamento del bollo doliare esposto, alla famiglia Cottae. La zona, riportata in luce dagli scavi e riprodotta nel plastico esposto, corrisponde alla parte residenziale della villa (pars urbana) caratterizzata da una ricca decorazione estesa nei pavimenti a mosaico ed organizzata intorno ad ambienti (sale di rappresentanza, zona termale) intorno ad un atrio e ad un portico (peristilio). Le terracotte architettoniche contibuivano ad impreziosire l’aspetto della villa. La villa in loc. Madonna dei Colori, presso Scandriglia, è un notevole complesso residenziale di età imperiale costruito lingo l’antico tracciato della Via Salaria. Come confermato dal ritrovamento di alcuni bolli di tegole, apparteneva al patrizio C. Bruttius Praesens e a sua moglie Laberia Crispina, esponenti di un’importante famiglia che successivamente si imparentò con la famiglia imperiale. La villa ha restituito un ciclo statuario di notevole fattura (oggi per lo più esposto alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen) e numerosi frammenti di marmi pregiati, tra cui il così detto “giallo tigrato”che testimoniano l’eleganza e la ricchezza della zona di rappresentanza delle grandi ville rustiche sabine.

 

Sala 10: i centri urbani della Sabina

I centri della Sabina non si caratterizzarono mai per un vasto abitato e in età romana svolsero soprattutto il ruolo di poli di riferimento amministrativo, giuridico ed economico per i territori circostanti. In particolare, nella provincia di Rieti, tale funzione fu assunta da Reate, Trebula Mutuesca (Monteleone Sabino) e Forum Novum (Vecovìo –Torri in Sabina). Nella sala, oltre ad alcuni reperti provenienti dagli scavi operati dalla ex Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, sono fornite informazioni sui singoli centri, con particolare riferimento a Rieti ad al suo impianto urbano. Il municipio di Reate, di piccole dimensioni, occupava un’altura calcarea a ridosso del fiume Velino ed era dotata di un sistema difensivo costituito da una cinta muraria scandita da torri. Tre porte consentivano l’accesso alla città collegando la principale viabilità interna con quella extraurbana. La via Salaria raggiungeva Reate da sud, superava il fiume Velino tramite un ponte e raggiungeva il foro (Piazza Vittorio Emanuele II) posto in altura attraverso un viadotto su arcate (via Roma). Si entrava quindi in città dalla Porta Romana antica e nel foro si incrociava l’asse di crinale (attuale via Cintia-via Garibaldi). Ad ovest da Porta Spoletina entrava la via che metteva in comunicazione Reate con i territori dell’Umbria attraversati dalla via Flaminia, mentre ad est da Porta Interocrina usciva la Salaria per Antrodoco (Interocrium) seguendo la valle del Velino. La città in età romana aveva una forma allungata ed il foro, pavimentato con lastre di travertino, era circondato da edifici pubblici tra cui il Capitolium (edificio destinato al culto della triade divina, Giove, Giunone, Minerva. Il tempio stabilito sulla sommità del colle capitolino- il Campidoglio odierno di Roma- ebbe, fin dalle origini, importanza preminente nella religione romana e il significato di tutela religiosa di tutta la città e dello Stato, e divenne il culto nazionale del popolo romano. Con tale funzione esso fu diffuso nelle città romane, e il tempio portò il nome stesso del colle romano) le cui fondamenta in parte si trovano sotto l’attuale hotel “Quattro Stagioni”. La presenza di epigrafi cultuali sul territorio dimostra l’esistenza di numerosi luoghi di culto sia urbani che exraurbani. L’assenza di sistematiche ricerche archeologiche permette soltanto una generica ricostruzione topografica della città romana, il più delle volte ipotizzabile grazie all’ausilio della toponomastica e di alcune fonti scritte di età medioevale. Questo è il caso dell’anfiteatro romano da collocare nella zona dell’ex monastero di San Domenico, al di fuori delle antiche mura urbane. Durante il medioevo la città subì una riorganizzazione degli spazi pubblici e privati. L’antica Reate si ingrandì: al nucleo antico si aggiunse u suburbio che richiese la costruzione di una nuova cinta muraria turrita. Alcune strutture della città vecchia di età romana, come il ponte sul fiume Velino, continuarono ad essere utilizzate e la precoce cristianizzazione del territorio portò all’edificazione di numerose chiese, anche extraurbane, come la celebre basilica di Sant’Eleuterio, oggi distrutta, che sorgeva nell’area dell’attuale cimitero di Rieti        

 

Sala 13: i culti

Gli antichi santuari (ad es. Rieti, loc. Colle San Basilio; Contigliano, loc. Colle d’Oro; Cittaducale, loc. Caporio, c.d. Terme di Vespasiano, ecc.), archeologicamente visibili soprattutto dai materiali votivi (ex voto) dei deposti cultuali, rappresentavano dei veri e propri punti di riferimento per la popolazione in un territorio caratterizzato da una rete di piccoli insediamenti sparsi e non da grandi centri urbani. I materiali votivi e le iscrizioni forniscono informazioni sui  culti della Sabina e sull’ideologia religiosa dei Sabini. Nonostante la maggioranza delle attestazioni risalga al periodo romano, alcune conservano traccia di culti locali ascrivibili all’età pre-romana e testimoniano l’antica religiosità dei Sabini. Culti tradizionali come quelli delle dee Vacuna, poi asimilata dai romani con Vittoria, e Feronia, ma anche Pater Reatinus, dei Duodecim Dii e di Ercole Sancutus rimasero vitali in area sabina durante l’età romana. In una regione riccamente segnata dalle acque a vocazione agro-silvo pastorale, ebbero particolare successo le divinità legate a questi temi, con particolare riferimento all’Ercole italico. Le fonti storiche attestano come antichissimo centro per il culto della dea sabina Vacuna la zona compresa tra gli attuali comuni di Cittaducale e Castel Sant’Angelo (l’Umbìlicus Italiae degli scrittori latini). Alla dea erano dedicati dei boschi sacri (Vacuna nemora) ed era venerata in un santuario fortemente legato alla presenza delle acque salutari ed idrotermali. L’area sacra, lungo la Via Salaria, dove almeno a partire dalla metà del II sec.a C. si officiavano i culti per Vacuna, è stata identificata con le c.d. Terme di Vespasiano o anche dette di Cotilia (Cittaducale, loc. Caporio) da dove proviene anche l’ara con dedica alle dodici divinità supreme del pantheon romano (Duodecim Dii). L’avvento dei romani investì la sfera del sacro attraverso processi di assimilazione e di introduzione di culti propriamente romani, come quello di Iuppiter Optimus Maximus di cui si può ammirare un’ara votiva (I-II sec. d. C.) rinvenuta a Rieti in via Garibaldi, nelle fondazioni del Palazzo Vincenti Mareri, dove insieme a Giove, il colleggio dei fabri tignarii, (falegnami carpentieri) dedicò l’ara anche a Minerva, Fortuna ed Ercole.

 

 

Galleria della Via Salaria

La galleria, allestita con pannelli didattici e fotografici, propone l’antico percorso della Via Salaria facendo riferimento ai principali monumenti che caratterizzavano il paesaggio di questa strada romana che sfruttò percorsi antichissimi. La Salaria, così chiamata per l’approvigionamento del sale dalle saline poste presso la foce del Tevere, collegava Roma con i territori della Sabina e del Piceno il cui terminale era Castrum Truentinum (Martinsicuro, TE). In età romana diventò l’asse portante del nuovo territorio assoggettato dai Romani e la principale via di comunicazione che, nella Sabina interna, ricalcava la media ed alta valle del Velino. Il suo tracciato ci è noto dagli antichi itinerari (Itinerarium Antonini e Tabula Peutingeriana). La strada usciva da Roma dalla Porta Collina delle mura Serviana ( e da Porta Salaria delle mura Aureliane (all’incirca attuale piazza Fiume) e si dirigeva verso l’Aniene a Fidene. Dopo aver raggiunto Reate proseguiva, seguendo la valle del fiume Velino, fino all’altopiano di Amatrice dove poi, seguendo la valle del fiume Tronto, giungeva ad Ausculum e al mare adriatico.

 

Didascalie

Fig. 1: Rieti, il Ponte Romano sul fiume Velino. Da Camerieri-Mattioli 2014.

Fig. 2: Ara con dedica a Iuppiter Optimus Maximus, Minerva, Fortuna, Hercules (I-II sec. d. C.). Da Museo Civico di Rieti. Sezione Archeologica s.d.

Fig. 3: La Via Salaria in loc. Vasche di Castel Sant’Angelo.

 

Bibliografia:

De Santis A. 2009 (a cura di): Reate e l’ager Reatinus. Vespasiano e la Sabina: dalle origini all’Impero, Catalogo della Mostra (Rieti, Museo Civico-Sezione Archeologica 8 maggio-22 novembre 2009), Roma.  

Camerieri-Mattioli 2014: P. Camerieri e T. Mattioli, Archeologia e modificazioni ambientali lungo il corso del fiume Velino, in Memorie Descrittive della Carta Geologica d’Italia, pp. 169-188.

Museo Civico di Rieti. Sezione Archeologica s.d.: Museo Civico di Rieti. Sezione Archeologica, testi di M. De Simone e Daniela Camardella, Rieti.